Workshop A - Identità e relazioni in migrazione
CONVEGNO Sguardi di genere e sapere sociologico
Agrigento 29-30 maggio 2014
Workshop A – Identità e relazioni in migrazione
Coordinatrici: Maria Giovanna Musso e Roberta T. Di Rosa
CALL FOR ABSTRACT
La sessione su « identità e relazioni in migrazione » vuole essere un momento di riflessione e di integrazione teorico-empirica degli studi che hanno come tema l’identità, i legami sociali e le migrazioni nell’area del Mediterraneo.
La questione dell’identità è costituita da un “grappolo di problemi”, e in questo grappolo di problemi rientrano sia quello dell’appartenenza (a uno o più mondi) sia quello delle relazioni sociali che costituiscono lo sfondo entro cui si staglia la figura identitaria.
Le migrazioni tendono a scardinare e a riconfigurare identità, relazioni e legami sociali, producendo tensioni, negoziazioni e conflitti, spesso dolorosi, sia negli individui che nel tessuto sociale di riferimento. Si tratta infatti una sfida alle consuetudini, ai significati e al senso di cui si nutre ogni cultura, sia quella di origine che quella di accoglienza.
Quando tali traiettorie sono declinate al femminile tale sfida si fa più profonda e stringente poichè ad essere intaccata sembra la struttura più profonda dell’identità e dei legami sociali. Qui anche l’osservazione sociologica è costretta a interrogarsi più a fondo sul problema dell’identità, sul rapporto fra maschile e femminile, individuo e gruppo, tradizione e mutamento, violenza e potere, vita affettiva e vita di lavoro.
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Identities and relationships in migration
The session on "identity and relationships in migration" will be a moment of reflection and theoretical and empirical integration of the studies that have as their theme the identity, social ties and migration in the Mediterranean area.
The issue of identity consists of a "bunch of problems", and in this bunch of problems fall both that of belonging (to one or more worlds) and that of the social relationships that constitute the background within which the identitary figure stands out.
Migrations tend to undermine and reconfigure identity, relationships and social bonds, producing tensions, negotiations and conflicts, often painful, both in individuals and in the social fabric of reference. It is indeed a challenge to the customs, meanings and the sense that feeds every culture, both the one of origin and the host one.
When such trajectories are declined by women that challenge becomes more profound and urgent as it seems to be affected the deeper structure of identity and social bonds. Here also the sociological observation is forced to wonder more deeply about the problem of identity, the relationship between the male and female, individual and group, tradition and change, violence and power, affective life and work life.
PARTECIPANTI:
Amina Bargach, psichiatra, Neuropsichiatra infantile
Giovanna Cavatorta, Università di Padova e EHESS Parigi
Marcella Delle Donne, Università di Roma « La Sapienza »
Sonia Pozzi, Università di Milano
Luca Toschi, Università di Roma « La Sapienza »
Anna Zenarolla, Università di Padova e Trieste
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PARTECIPANTE: Amina Bargach, psichiatra, Neuropsichiatra infantile, Terapeuta familiare sistemica, Esperta negli interventi nel contesto migratorio transnazionale
TITOLO: L’impatto del « Mito del Mediterraneo » sulle interazioni tra i professionisti della Salute mentale e le famiglie migranti
PAROLE CHIAVE: Parole chiave: contesto, culture, gerarchizzazione, mito, Mediterraneo, famiglie migranti
ABSTRACT:
Il contesto sociale attuale è in generale contraddistinto da relazioni interpersonali caratterizzate da delle violenze a tutti i livelli. In questa comunicazione ci riferiremo agli effetti devastatori che queste violenze hanno sull’identità delle famiglie migranti
E’ all’interno di questo contesto di eterogeneità culturale, dove si produce il fenomeno disfunzionale della gerarchizzazione delle culture, che le differenti culture sono considerate come superiori (quella del paese ricevente) oppure come culture inferiori ( quelle dei migranti), anche in particolare in relazione alle questioni di genere.
Le famiglie migranti si trovano minacciate nella propria identità e relegate in una posizione inferiore, sono spinte a spogliarsi di strategie, il cui fine è proprio la protezione della loro identità minacciata; purtroppo queste strategie che si esprimono sotto forma di comportamenti sono connotate dagli operatori come l’espressione della loro “cultura d’origine” e ciò ci dice quanto l’operatore non senta anche se stesso come implicato nella loro vicenda.
Ed è qui che interviene il « Mito del mediterraneo » per rinforzare lo statu quo.
La comunicazione sarà illustrata anche da esempi clinici e proporrà qualche strategia al fine di affrontare e oltrepassare queste disfunzioni.
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PARTECIPANTE: Giovanna Cavatorta, PhD candidate ‒ Università di Padova e EHESS Parigi
TITOLO: Donne senegalesi ricongiunte in Italia, rinegoziando i propri percorsi di vita
PAROLE CHIAVE: genere, migrazioni, appartenenza
ABSTRACT
Questa proposta è incentrata sull’analisi dei rapporti sociali di sesso/genere (Rubin, 2011 e Mathieu 1991) tra uomini e donne senegalesi, così come sono emersi all’interno di una ricerca etnografica multi-situata tra il Senegal ed il Veneto, condotta tra il 2011 ed il 2013 nel quadro di un dottorato in antropologia sociale. Utilizzando il metodo della ricerca multi-situata, che permette di adottare uno sguardo pluri-prospettico sui due contesti di immigrazione e di partenza, si è cercato di esplorare come il campo dell’unione matrimoniale, nello specifico di tipo poligamico, venga sfidato dall’esperienza di migrazione.
Guardare tale campo permette infatti di comprendere come i rapporti tra i coniugi vengano rinegoziati, alla luce sia dell’accesso al sistema di welfare italiano sia delle condizioni socio-culturali del riconoscimento dell’appartenenza sociale legittima che strutturano la “comunità” senegalese a Padova.
A partire da un caso specifico, ovvero il percorso che ha portato alla rottura di una unione matrimoniale in cui la donna era stata ricongiunta in Italia e in cui la donna ha sfidato le norme culturali che definiscono il suo stato di donna adulta (e quindi di madre e sposa, Lecarme, 2001), l’analisi si sofferma sul modo in cui questa separazione sia stata gestita non solo dai due coniugi ma anche dalle altre persone che partecipano al loro tessuto sociale principale di riferimento.
L’ipotesi è che proprio a partire dai discorsi e dalle pratiche posizionate degli attori in gioco (moglie, marito, parenti presenti in Italia, amici ed amiche anch’essi emigrati) si possa comprendere e problematizzare il rapporto tra singolo/a e collettività di riferimento e come questo rapporto si configuri come un complesso equilibrio tra appartenenza e dipendenza, in cui l’appartenenza, e quindi la sicurezza ontologica e simbolica del sé del/della singolo/a (Balandier, 1961, Signorelli, 2006), implica un percorso che non è ascrivibile in termini meramente emancipativi o remissivi.
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PARTECIPANTE: Sonia Pozzi, Ph.D ‒ Università di Milano
TITOLO: Le relazioni affettive delle/gli adolescenti di origine immigrata tra tradizione e autonomia. Una comparazione tra madri e figli/e in chiave di genere
PAROLE CHIAVE: adolescenti immigrati, relazioni affettive, differenze di genere
ABSTRACT
L’adolescenza è la fase di vita in cui il soggetto sperimenta ruoli, compiti e relazioni tipici della vita adulta (Palmonari 2001): tra questi un passo importante è l’intrapresa di relazioni affettive (Fabbrini, Melucci 1992; Parsons 1974). Tuttavia non in tutte le culture questo passaggio viene visto come una scelta libera ed autonoma, come mostra il fenomeno degli arranged marriages (Bertolani 2011, Dale 2008, Shaw 2001, 2006). Infatti, il comportamento affettivo e sessuale è una costruzione sociale (Baraldi 1996, Gagnon, Simon 1973, Plummer 2002) e nel processo di socializzazione all’affettività intervengono famiglia e gruppo dei pari (Moore, Rosenthal 1999, Marques 2009), appartenenza religiosa (Davis, Friel 2001), scuola (Ferrero Camoletto 2009) e media (Stern, Handel 2001). Gli adolescenti provenienti da famiglie immigrate si possono trovare a dover mediare tra riferimenti culturali tramandati dalla famiglia e quelli della società in cui vivono. Questa discrepanza può portare a vivere le esperienze quotidiane, e quindi anche quelle affettive, con disagio o ribellione, soprattutto nelle famiglie dove si trova dissonanza generazionale di acculturazione (Portes, Rumbaut 2006).
Basandosi sull’analisi di interviste qualitative condotte in Lombardia a partire dal 2007 a adolescenti maschi e femmine e donne provenienti da Est Europa e Asia, questo contributo vuole concentrarsi sul diverso modo di intendere le relazioni affettive da parte dei/delle figli/e e dei genitori, approfondendo se l’appartenenza di genere incide sulla modalità di vivere le stesse.
L’obiettivo che ci si pone è:
a) confrontare l’idea che le/gli adolescenti e le madri hanno rispetto alla giusta modalità di vivere le relazioni affettive, analizzando quanto l’attaccamento alle tradizioni e/o il grado di acculturazione incidano sul modo di vedere tale aspetto della vita;
b) comprendere se le/gli adolescenti sono autonome/i nella scelta del partner e se questa è gestita dalla famiglia e capire se i figli utilizzano degli escamotages per far convivere autonomia e tradizione;
c) capire se l’appartenenza di genere incide sulla possibilità di gestire autonomamente le relazioni affettive.
Scopo ultimo, dunque, è capire se prima e seconda generazione valutano allo stesso modo la possibilità delle/gli adolescenti di intraprendere liberamente relazioni affettive, ovvero se l’appartenenza a comunità etnico-culturali specifiche possa incidere sulla gestione delle stesse, limitando l’autonomia dei/delle giovani, imponendo anche maggior controllo ad un genere rispetto ad un altro.
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PARTECIPANTE: Luca Toschi, Ph.D ‒ Università di Roma Sapienza
TITOLO: Migrazioni al femminile e strategie di radicamento: le comunità personali delle caregiver rumene nell’area capitolina
PAROLE CHIAVE: comunità, reti migratorie, relazionalità
ABSTRACT
Nella società contemporanea, e talvolta con esiti scoraggianti, la categoria del genere assume una valenza largamente discriminante rispetto alle tematiche dell’etica economica e professionale, ma anche relativamente all’organizzazione sociale del lavoro, dei ruoli familiari e più in generale delle relazioni interpersonali e di potere. Anche in Italia, l’aumento dell’occupazione delle donne, unitamente a deboli politiche di sostegno, ha causato una crescente domanda di lavoro di cura nella domesticità, ampiamente svolto dall’immigrazione femminile. Pertanto alcune figure oramai abitualmente inserite nei processi sociali ed economici delle aree industrializzate – colf, badanti, baby-sitter, ma anche infermieri e operatori sanitari – sono sempre più spesso reclutate nel quadro di specifiche direttrici migratorie percorse da donne, non di rado in giovane età.
L’osservazione delle reti relazionali costruite dalle agenti del lavoro di cura nelle realtà metropolitane di destinazione, prevalentemente ancorate al femminile, offre una triplice declinazione dell’esperienza migratoria, trasversalmente alla sfera pubblica e privata: in primo luogo la gestione del lavoro emozionale nelle famiglie di accoglienza, talvolta compromesso dalle condizioni di minorazione dei destinatari del sostegno; in secondo luogo la produzione e riproduzione di legami personali significativi nel corso di processi di integrazione non sempre agevoli; infine la trasformazione della biografia individuale e sociale nella percorrenza del ciclo migratorio, tra appartenenze originarie e nuovi assetti esistenziali.
Nel presente contributo si propone una nota di ricerca condotta secondo una tecnica speciale di misurazione della relazionalità: l’analisi degli egonetwork, altrimenti detti “comunità personali”. Attraverso la valutazione della composizione delle reti sociali di 20 donne rumene impiegate nei servizi alla persona nell’area romana, si intende ricostruire le strategie di radicamento prevalentemente agite nei nuovi contesti, tanto affettivi quanto strumentali.
Accanto alla procedura di analisi computer-assistita dei dati relazionali, condotta con EgoNet (Personal Network Software), una serie di interviste libere effettuate secondariamente potrà ancora approfondire l’informazione strutturale inferita dalle reti, secondo un approccio multi-criterio/multi-tecnica.
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PARTECIPANTE: Anna Zenarolla, Ph.D ‒ Università di Padova e Trieste
TITOLO: Il volto femminile della povertà. Percorsi di impoverimento e di aiuto in una lettura di genere
PAROLE CHIAVE: migrazione, impoverimento, relazione di aiuto, donne
ABSTRACT
Può lo sguardo femminile cogliere con maggior perspicacia e profondità il disagio delle donne? E possono le donne in situazione di disagio e sofferenza trovare nello sguardo femminile un’accoglienza che invita a manifestare tale situazione? Quest’ultima poi, può assumere connotazioni specifiche per il fatto di essere vissuta da una donna e trovare nella donna capacità di fronteggiamento peculiari? E tali capacità, se ci sono, possono essere individuate e rafforzate con maggior efficacia se l’intervento di aiuto è svolto da un operatore donna oppure questa connotazione può ostacolare la relazione di aiuto?
Sono questi gli interrogativi che hanno guidato il percorso di ricerca sugli interventi di ascolto e accoglienza realizzati dai centri di ascolto e dai servizi di accoglienza per donne delle quattro Caritas diocesane del Friuli Venezia Giulia, nell’ambito dei loro Osservatori delle povertà e delle risorse. Si è trattato di un percorso che ha cercato di verificare la percezione delle operatrici di questi servizi che vi fossero modalità diverse di vivere e di manifestare le situazioni di povertà e di disagio da parte dell’utenza femminile e, in particolare, da parte delle donne migranti, che vi fosse un “uso” delle donne da parte dei loro compagni e/o mariti per chiedere e ricevere assistenza, e che le trasformazioni nel ruolo della donna e nelle relazioni familiari conseguenti alla migrazione fossero causa di specifici processi di disagio e di impoverimento delle donne. Oltre a questo la ricerca ha voluto verificare la presenza di una specificità di genere nella relazione di aiuto che si instaura quando l’operatore che interviene a favore di una donna è a sua volta una donna. La percezione delle operatrici, infatti, era quella che non sempre l’essere donna facilitasse lo sviluppo e l’efficacia della relazione d’aiuto e che alcune variabili, come ad esempio l’avere o meno un compagno e l’essere o meno madre, potessero risultare di ostacolo anziché di aiuto sia per le dinamiche innescate nella donna da aiutare, sia per quelle innescate in loro stesse.
Il percorso di ricerca si è articolato in due fasi: la prima è consistita in un’analisi di carattere quantitativo e qualitativo sui profili socio-anagrafici e di bisogno delle utenti dei centri di ascolto e dei servizi di accoglienza mentre la seconda ha sviluppato un approfondimento di tipo qualitativo che, attraverso la tecnica del focus group e dell’analisi di contenuto, ha cercato di far emergere i vissuti e le opinioni delle operatrici in merito ai percorsi di impoverimento e ai processi di aiuto con le donne dei loro centri.