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CINZIA NOVARA

Inclusione sociale e minori stranieri adottati. Parlare in classe di adozione, origini e differenze somatiche

Abstract

L’identificazione e la costruzione del sé possono diventare compiti, particolarmente, faticosi quando la propria storia personale, specie nelle primissime fasi evolutive, si muove tra un “prima” e un “dopo” fortemente discontinui, come nel caso del minore adottato internazionalmente. Una discontinuità spazio-temporale che lo porta fuori dalla membrana culturale in cui è nato e una discontinuità affettiva sulla quale dovrà farsi spazio la fiducia per sviluppare un legame di attaccamento con la nuova famiglia. Non di rado, si ritiene erroneamente che il “trascorso” del minore, doloroso e angoscioso, vada eliminato dalla sua memoria cognitiva e affettiva, pensando ingenuamente di sollevarlo così da ricordi e vissuti ingombranti. Si tratta di una tendenza inconsapevole che tende a normalizzare l’ingresso del minore nel nucleo familiare adottivo e nella realtà sociale più ampia. La tutela dei minori s’interseca con la capacità di diffondere una cultura adottiva “riparativa” che è ben distinta da una cultura del rimosso. Per esempio, in ambito scolastico, per un educatore o insegnante questo significa sviluppare una conoscenza delle “normali” difficoltà di crescita che possono manifestarsi nel bambino adottato in risposta a un evento anormale quale l’avere sperimentato, nelle prime fasi della vita, la trascuratezza e l’abbandono da parte degli stessi adulti che avrebbero dovuto garantire il suo benessere.