Cinema e politiche del vino
- Autori: Mangiapane
- Anno di pubblicazione: 2021
- Tipologia: Capitolo o Saggio
- OA Link: http://hdl.handle.net/10447/476433
Abstract
Se è vero che il cinema culinario, con le sue storie, pone il problema dell’alterità e della convivenza fra diversi, facendo interagire in un medesimo contesto personaggi portatori di identità culinarie/ culturali eterodosse (cfr. Mangiapane 2015), i film che mettono al centro delle loro storie il vino battono una strada diversa. Da qualche tempo, con la progressiva saturazione da parte dell’industria culturale di ogni possibile appiglio narrativo riconducibile alla cosiddetta gastromania (cfr. Marrone 2014), infatti, il vino ha acquisito una certa visibilità come soggetto cinematografico autonomo, ispirando film a esso interamente dedicati. È il caso di alcuni titoli emblematici: Sideways - In viaggio con Jack (2004), capostipite del genere e di altri titoli come Saint Amour (2016), Ritorno in Borgogna (2017), Chateau Meroux - Il vino della vita (2011), I giorni della vendemmia (2010), Un'ottima annata - A Good Year (2006), fino al rohmeriano Racconto d’Autunno (1998). Questi film si configurano come grandi narrazioni del ritorno (nostos), i cui eroi sono chiamati dal destino (morte di un congiunto, ad esempio) a ripercorrere all’indietro il loro percorso di vita, ricongiungendosi, per il tramite del vino, con la propria identità più profonda. Se il cinema culinario insiste sul problema spaziale della convivenza di personaggi che cucinano e mangiano in modi differenti, i film dedicati al vino pongono il problema in termini temporali, chiamando i protagonisti delle proprie storie a fare i conti con l’eredità ricevuta dal passato (che farne di uno chateau o di una vigna ricevuta in eredità nella campagna francese?). Si costituiscono, in questo modo, forme politiche plurime, volte a sciogliere il conflitto fra il passato e il presente, che permettano di conciliare questo conflitto e rilanciare verso il futuro. Il mio intervento vuole indagare all’interno di questo macro-movimento all’indietro, tali forme politiche che investono come luogo primario di costruzione simbolica il terroir, la vigna e, più in generale, il versante della produzione, grande assente del cinema gastronomico di fiction propriamente detto. Da cui una dicotomia non ancora esplorata: quella che contrappone vino e terroir, a vantaggio del secondo. Il terroir, sembrerebbero suggerire alcuni film di cui verrà presentata l’analisi, diventa una macchina semiotica ineffabile, multisensoriale e stratificata, di cui il vino, pur essendo comunemente inteso come sua emanazione principe, finisce col rappresentare solo uno degli ambiti di emersione e forse nemmeno il più importante. Ecco perché, gli eroi di questi film, per sperimentare il “vero senso” del loro vino non potranno che trasferirsi in vigna, sperimentandone nel quotidiano consuetudini e pratiche, per un po’ di tempo… o per tutta la vita.