Le esposizioni universali: spazialità e politiche di rappresentazione
- Autori: de Spuches, G.
- Anno di pubblicazione: 2015
- Tipologia: Articolo in rivista (Articolo in rivista)
- OA Link: http://hdl.handle.net/10447/146911
Abstract
Come possiamo parlare di modernità? Riflettere su un fenomeno come le Esposizioni universali, sulla loro storia, sembra una buona pista per rispondere alla domanda iniziale. Questi spazi spettacolari, inventati nel XIX secolo dalla società occidentale, producono eventi: “montano” città. E’, infatti, il montaggio una delle chiavi che permette di cogliere questo senso di trasformazione che le Esposizioni producono. Il montaggio come elemento della tecnica e come elemento metaforico. Le Esposizioni si presentano come spazi dove il tutto e le parti sono messi in mostra; sono pensate come forme di inventario, di archivi atti a educare e a meravigliare ma il loro significato va oltre le aspettative degli organizzatori: l’evento, infatti, come incontro imprevedibile, provoca e consegna fatti e immaginari niente affatto scontati. Qual è il tipo di spazio che viene “montato”? E’ uno spazio dove s’intrecciano geografie e storie, patrimoni e invenzioni; è uno spazio di un mondo spettacolare dove discorsi e silenzi egemonici sono ben evidenti. E’ ancora, per ricordare le parole di Walter Benjamin, un luogo dove le masse escluse dalla possibilità di consumo imparano l’empatia attraverso il valore dello scambio. Le Esposizioni giocano, dunque, un ruolo determinante per esibire il binomio potere/conoscenza. Il loro fine non è quello di terrorizzare bensì di porre la popolazione, concepita come cittadinanza nazionale, dallo stesso lato del potere al fine di organizzare e coordinare un ordine.