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MARINA CALOGERA CASTIGLIONE

Quali varietà dialettali nei testi tradotti per i progetti di geolinguistica?

Abstract

Il contributo intende svolgere una ricognizione relativa alla variazione dialettale così come emerge dai testi e dai quesiti traduttivi impiegati all’interno dei progetti dialettologici prima e geolinguistici in seguito, per verificare quanto i testi letterari che stanno alla base delle traduzioni abbiano interferito sulla varietà orale che si intendeva indagare, nella costruzione della frase e nella scelta del lessico, e se tale “distorsione” abbia nuociuto alla costruzione delle classificazioni relative al continuum dialettale prodotte dagli anni ’60 in poi. Infatti, in Italia, prima ma anche dopo la nascita della dialettologia scientifica, la tecnica di rilevamento più utilizzata è stata la traduzione di un testo scritto: dalle versioni della parabola del Figliuol Prodigo, contenute nel Saggio sui dialetti gallo-italici di Bernardino Biondelli del 1853, alle 34 versioni del Dialogo tra padrone e servitore, raccolte dal geografo Attilio Zuccagni Orlandini nel 1864 all’interno della sua Raccolta di dialetti italiani con illustrazioni etnologiche, dall’ uso della “Novella del re di Cipri” (IX/I del Decameron) di Giovanni Boccaccio in ben 704 diversi idiomi dialettali attestati da Giovanni Papanti per la festa del “V centenario di Messer Giovanni Boccacci” editi nel 1875, all’appassionata raccolta effettuata negli anni unitari dal Principe Luigi Luciano Bonaparte che, non pago di limitarsi ad una parabola, incaricò i suoi informatori di tradurre per intero il Vangelo secondo Matteo, sino alle versioni pugliesi della parabola raccolte da Carlo Salvioni nel 1913 e a quelle Alessandro-Monferrine e Liguri (Reale Accademia dei Lincei, vol. 15, fasc. 8, anno 1918) dello stesso Salvioni, alle versioni istriane del 1914 a cura di Giuseppe Vidossich e ancora di Salvioni, e, inoltre, ai testi dialettali italiani di Carlo Battisti (1921) alle leggende raccolte da Gino Bottiglioni e stampate nel 1922. La Novella I,9 del “Decamerone”, tradotta nei parlari del Lazio, I. Valle dell’Aniene, trascrizioni fonetiche, con commento linguistico, è infine il titolo della ricerca condotta da Clemente Merlo e pubblicata nel 1930 dopo aver sondato 31 comuni laziali. Meyer sottolineva l’intrinseca paradossalità dell’uso di testi paradigmatici per effettuare comparazioni dialettologiche: attraverso essi o si ottenevano versioni eccessivamente libere o, al contrario, eccessivamente letterali, annullando, in un caso il confronto sinottico di categorie fonetiche e morfosintattiche, e, nell’altro caso, il reperimento della varietà parlata. Il parlato, spesso, emergeva, infatti, quanto più l’informatore riusciva a spezzare la “gabbia” del testo indotto e ad affidarsi al suo uso effettivo, cioè violando le consegne della prova traduttiva iperletteraria. L’ultima parte del lavoro presenterà le riflessioni teoriche, in epoca di dilalia, sorte all’interno del progetto dell’Atlante Linguistico della Sicilia (ALS) in merito al rapporto testo tradotto – varietà di lingua, sebbene nel prosieguo del tempo per “testo tradotto” non si sia più fatto riferimento ad una narrazione completa, quanto ad elementi enunciativi brevi e, a volte, ridotti al singolo lessema.