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MARINA CALOGERA CASTIGLIONE

I re animali nelle fiabe di Giuseppe Pitrè: nomi o sostanze?

Abstract

Di animali parlanti è popolato ciascun repertorio favolistico mondiale. Le qualità archetipiche connesse a ciascun animale ripropongono vizi e virtù umane, con scopo moralistico e spesso con intento ironico. Non così le fiabe che, viceversa, non ricorrono a protagonisti animali, sebbene non di rado presentino un variegato bestiario sotto forma di aiutanti magici, animali-eroi, animali-parenti, ecc. Tra gli esseri fantastici che sono rappresentati nelle fiabe raccolte nel 1875 all’interno dei quattro volumi dedicati alle Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani, Giuseppe Pitrè nomina la prima sezione, di cui qui ci occuperemo, «Fiabe di re, principesse fatate, di draghi e mamme-draghe», con 141 tradizioni dialettali orali complete e 59 varianti in forma linguisticamente italiana e testualmente sintetica. La presenza di esseri animaleschi dalle fattezze antropomorfe è denunciata, quindi, sin dalla titolazione: nell’immaginario favolistico siciliano, draghi e orchi (mamme-draghe) godono di pari importanza rispetto ai re e alle principesse. Proprio i titoli delle singole fiabe rivelano ulteriori personaggi che abitano una linea biologica di confine, tra umano e animale (Re cavaddu mortu; Lu 'Mperaturi Scursuni; Lu mircanti 'smailitu Giumentu; ecc.). In questo caso non si tratta di comprimari o di esseri soprannaturali, quanto di soggetti che per qualche fatagione intercorsa alla nascita o durante l’esistenza, perdono la propria dimensione umana per acquisirne una pienamente, falsamente o momentaneamente animalesca. Tali passaggi, più che essere vissuti come traumi, sembrano appartenere al ventaglio delle possibilità naturali di ciascuno e connettono quasi senza soluzione di continuità il mondo animale (selvaggio e/o domestico) con quello umano, come se non sussistesse alcuna eterospecificità. L’identificazione – sia pur legata ad animali simbolicamente negativi, come il serpente – accorcia la distanza tra i due mondi e consente di rappresentare un universo animale a cui attengono qualità e potenzialità persino superiori a quelle dell’uomo, certamente discendenti da un sistema di credenze totemiche legate alle potenze degli inferi e in ogni caso sovrannaturali. L’aristotelico confine invalicabile tra uomo e animale, costituito dalla capacità logico-linguistica, viene continuamente superato nel mondo fiabesco non antropocentrico; la stessa lingua, attraverso il sistema onomastico, garantisce una unitarietà che talora è meramente formale, talora è sostanziale.