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ANDREA SCIASCIA

Non muri sed mentes. Progettare, trasgredire e tutelare

Abstract

Due differenti esperienze di ricerca e di didattica hanno posto l’accento sul ruolo che il progetto di architettura può avere nella difesa del paesaggio agrario e di rilevanti aree archeologiche. Tali riflessioni hanno consentito la messa a fuoco di alcuni concetti che mostrano, forse con maggiore precisione, in che modo l’architettura riesca a fare emergere la parte resiliente dei luoghi e a interagire positivamente con la tutela del suolo. Quest’ultimo, per troppi anni, è stato visto – secondo un’ermeneutica errata del Movimento Moderno – come un sinonimo del piano cartesiano e, quindi, come una superficie omogenea ed isotropa, trasponendo in maniera ideologica l’invenzione di René Descartes e con una fiducia incondizionata nel progresso tecnologico. L’analogia tra suolo e piano cartesiano ha imperversato nella seconda parte del XX secolo producendo conseguenze disastrose per il territorio. Nelle espansioni di molte città europee, e italiane in particolar modo, vi è stata pochissima attenzione nel riconoscere quelle peculiarità storico–morfologiche dei tessuti extra moenia, differenti ma con stratificazioni altrettanto significative se confrontate a quelle dei nuclei antichi. Inoltre, nel rapporto con i terreni fuori le mura, nessuna cura è stata posta nel considerare le geometrie e i colori dell’agricoltura come un autorevole secondo termine della dialettica città – campagna. Su quest’ultima ha prevalso la prima nella sua forma peggiore, riassumibile nelle congerie volumetriche di molte periferie contemporanee. In questi luoghi, i frammenti delle colture restano prima intrappolati e poi dimenticati negli spazi senza vita compresi fra edilizia e infrastrutture viarie. L’avanzare della città, spesso effetto di un inurbamento feroce, ha portato a demonizzare l’architettura associandola, impropriamente, al cosiddetto consumo di suolo e confondendo le sue qualità con i difetti di una massa informe e incontrollata.