La Sicilia e gli alleati. Tra occupazione e Liberazione
- Autori: Patti, M.
- Anno di pubblicazione: 2013
- Tipologia: Monografia (Monografia o trattato scientifico)
- OA Link: http://hdl.handle.net/10447/151730
Abstract
«Il periodo dell’occupazione alleata, intenso e unico, si è fissato nella memoria come cesura tra il mondo vecchio e il mondo nuovo. Ma influì solo fino a un certo punto sul modo in cui fu rifondato lo Stato nazionale. La democrazia fu una conquista anche italiana. Pur attraverso un percorso tortuoso, lento, contraddittorio, la politica siciliana riuscì a imboccare quella stessa strada intrapresa dalla classe dirigente italiana, e a costruire un futuro democratico e repubblicano». Il 10 luglio 1943 le armate americane e britanniche sbarcarono in Sicilia. «Chi vide approdare la grande armata – osserva Salvatore Lupo – ebbe l’impressione visiva, spaventosa e affascinante, di una forza irresistibile. Lo sbarco segnò la svolta nella guerra e quindi nella storia mondiale. Da qui le infinite rievocazioni dell’evento nei media, e le annesse mitologie: la Sicilia del’43 rappresenta tutt’oggi un luogo di straordinaria portata simbolica». Ed è proprio in virtù di questo mito che la memoria è intervenuta semplificando, appiattendo, cancellando le contraddizioni insite nello straordinario evento. I primi a essere cancellati sono i britannici: la memoria colloca quasi soli al centro della scena gli americani, sapendoli destinati a governare il mondo nuovo, nel bene e nel male. Le contraddizioni sono molteplici, ed è su di esse che il lavoro di Manoela Patti, sulla base di una ricca e dettagliata documentazione, intende far luce. La Sicilia fu il primo lembo d’Europa occupato dagli alleati, e come tale rappresentò un «laboratorio» in cui sperimentare un modello amministrativo da utilizzare poi su tutto il territorio italiano, ma condizionato ab origine da una sottile ambiguità : i soldati che sbarcavano in Italia erano nemici o liberatori? La stampa alleata paragonò le armate di Patton e Montgomery ai Mille di Garibaldi, ma l’impatto con la popolazione riportò presto il conflitto alla tragica dimensione dello scontro totale, in cui i civili sono coinvolti come e più degli eserciti. Il precoce dopoguerra dell’isola mise presto in luce l’ambiguità della good war combattuta per la democrazia. Invasori nel nome della libertà , gli alleati furono travolti dallo scarto fra la retorica dell’interventismo democratico e la realtà dell’occupazione. E in breve emerse l’assenza di una vera e propria politica di occupazione, demandata alle forze militari sul campo. Un ruolo significativo fu giocato poi da modelli e stereotipi di tipo culturale e razziale, sui quali pesò anche l’esperienza dell’emigrazione italiana negli Stati Uniti. In Sicilia, per la prima volta, queste idee si confrontarono con la realtà di una società complessa, affatto arretrata, e capace di opporre i propri modelli culturali, sociali e politici. Allo stesso tempo, l’emergenza bellica pose gli alleati davanti a un’altra fondamentale questione: la capacità di sostenere l’occupazione garantendo condizioni di vita accettabili alle popolazioni locali. La potente macchina da guerra alleata perse però queste sfide: la politica siciliana si riorganizzò da sé, anche grazie all’appoggio della pedagogia democratica alleata, e tra il 1943 e il 1945 l’isola fu attraversata da una fortissima conflittualità sociale scatenata dalle terribili condizioni di vita. Nonostante ciò, il mito dei liberatori andò consolidandosi proprio a partire da quel drammatico dopoguerra.