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LAURA PARRIVECCHIO

The integration processes in the contemporary city

Abstract

Il fenomeno migratorio nonostante rappresenti un movimento costante degli ultimi decenni oggi, i continui esodi dai luoghi della guerra unitamente al crescente numero delle tragedie in mare e alla chiusura delle frontiere da parte di alcuni paesi, determina una forte complessità di tale fenomeno. Si tratta di crescenti forme di mobilità umane che, per guerra, povertà, fuggono dal proprio paese d’origine attraversando le nostre città, ritrovandosi ad abitare gli “spazi di attesa” lungo le frontiere a causa delle barriere costruite fra i diversi paesi per impedire il passaggio dell’altro; “[…] barriere di ordine culturale e politico che opponiamo all’accoglimento di profughi, di stranieri e persino di “nomadi” che da secoli “abitano” un territorio che è anche il loro” (Remotti, 2016). Tale realtà ha sicuramente aumentato e reso più complessa la questione dell’accoglienza e dell’abitare, definendo nuovi spazi che, molto spesso, si identificano con i campi profughi. Si tratta di quella che Marc Augè definisce “localizzazione d’urgenza” in cui “campi di rifugiati, campi di transito, insediamenti un tempo concepiti per la promozione del mondo operaio sono diventati […] spazi inqualificabili in termini di luogo che accolgono, in teoria provvisoriamente, chi viene costretto dalle necessità della miseria, della guerra o dell’intolleranza all’espatrio” (Augè, 2007). La nostra contemporaneità è segnata infatti da immagini che mostrano la disperazione dei migranti a cui si associano, come scrive Alessandro Dal Lago “le condizioni disumane dei campi di “permanenza temporanea” che giustifica le loro proteste e i tentativi di evasione” (Dal Lago, 2012). Ci si chiede allora: Attraverso quali forme è possibile favorire processi di accoglienza e integrazione? Oggi, è ancora possibile favorire, generare, un abitare multietnico? La nostra storia è sempre stata segnata dal movimento dei popoli. Culture che, nell’attraversare le città, hanno lasciato testimonianza del loro passaggio rappresentando una ricchezza della loro coesistenza. Oggi invece, la presenza di etnie diverse non sempre trova una perfetta integrazione con i vari luoghi della città, spesso infatti esse vengono relegate negli spazi periferici o all’interno dei nuclei storici definendo delle vere e proprie “enclaves”. Si tratta infatti di diversi fatti urbani in cui i migranti ridisegnano i propri confini per cercare di trovare il proprio luogo, la propria identità, all’interno della nuova comunità. A volte accade invece (come nel caso di Riace) che la realtà migrante, nell’insediarsi in un luogo, rappresenti una risorsa per quest’ultimo, attraverso il recupero di luoghi, spazi e attività abbandonate. Tale esempio dimostra come forme di integrazione nelle città sono ancora possibili, e che esse possono contribuire alla definizione di una nuova costruzione coerente della città che tenga conto anche dell’aspetto sociale dell’architettura.