Skip to main content
Passa alla visualizzazione normale.

STEFANO MONTES

Nell’attesa, diamoci del tu

Abstract

È senz’altro vero: era necessario fare un’antropologia dell’azione, della pratica, dell’agentività. A partire dagli anni Ottanta ci hanno provato in tanti e con successo, pur appartenenti a correnti diverse (teoria della pratica, etnopragmatica, surmodernità, etc.) e a rivendicazioni ‘politiche’ multiformi (postmodernisti, femministe, cultural studies, studi postcoloniali, etc.). Ben vengano teorie e posizionamenti vari, niente da recriminare! Mi chiedo però: e se fosse altrettanto importante – in contrappeso – fare un’antropologia dell’attendere e dell’attesa? Questo mio saggio valorizza questioni legate proprio all’attendere consueto, alla forza conativa delle immagini esercitata durante i tempi morti, alla sottile ritualità profana implicita nel vivere quotidiano, alla temporalità spicciola vissuta giorno dopo giorno, insomma all’ordinario endotico (il termine è di Perec), a quella che – altrove, nel complesso, con un neologismo – ho definitivo ‘aspettatività’. L’occasione è data proprio da una semplice (?) attesa davanti un locale di Palermo.