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STEFANO MONTES

Aki Kaurismäki e i linguaggi della migrazione

Abstract

Parlo, in questo saggio, di un regista finlandese e del suo modo di vedere la migrazione al cinema. Parlando di cinema e di un regista, però, introduco inoltre, in un rimando continuo e vertiginoso, il mio punto di vista di antropologo del linguaggio e del posto che potrebbe – dovrebbe – occupare la riflessione sulla migrazione in una prospettiva in cui i linguaggi sono pragmaticamente posti in primo piano. Una questione è centrale: più che di antropologia del linguaggio, si dovrebbe parlare di antropologia dei linguaggi allo scopo di spostare l’accento dalla singolarità di un unico linguaggio alla loro inevitabile pluralità, oltre che sulla loro incessante traduzione in quanto elemento cardine per la resa della realtà. A proposito di migranti e della loro condizione reale, criticando apertamente alcuni linguaggi dei media, metto allo stesso tempo in dubbio la loro incessante amplificazione di una ‘situazione di frontiera’ e il loro uso omogeneizzante di forme di categorizzazione stereotipate e falsamente neutralizzanti la prospettiva d’origine. In chiave antropologica – di antropologia dei linguaggi – dialogo e traduzione sono invece processi che valgono in opposizione a un punto di vista mediatico che vede nell’accostamento di linguaggio/pensiero/azione una triangolazione, un rinvio diretto dall’uno all’altro. Il rimando ai linguaggi e alla traduzione, nel mio caso, è perciò fondato su un principio di valorizzazione insito nella varietà delle pratiche: del pensare e del vivere. In sostanza, per semplificare, credo nell’enunciare le possibilità polisemiche della parola contro la parola univoca gestita dal potere.