Stavo per scivolare, ho pensato a Wittgenstein!. Etnopragmatica di un concetto
- Authors: Montes stefano
- Publication year: 2016
- Type: Articolo in rivista (Articolo in rivista)
- OA Link: http://hdl.handle.net/10447/318709
Abstract
In questo saggio, esploro la porta semiotica e pragmatica di un’azione (‘scivolare’), comunemente appartenente all’ambito del quotidiano, per mostrarne invece la valenza teorica e metateorica oltre che d’ordine pratico. Le domande che mi pongo sono le seguenti: come si può riflettere sul quotidiano in chiave antropologica? Come analizzare il senso di un concetto soltanto in apparenza d’uso comune? Come eludere la metafisica radicata nelle nostre proprie analisi? Per rispondere a queste domande, mi sono avvalso del concetto di gioco linguistico formulato da Wittgenstein rinviando allo ‘scivolare’ in opposizione all’‘attrito’ e, infine, al concetto stesso di ‘gioco linguistico’. Ho dunque messo in forza alcuni giuochi linguistici applicandoli a diversi contesti d’uso della mia vita quotidiana, ma, anche, più in generale, ad alcuni antropologi (Geertz, Jackson, Taussig), scrittori (Ungaretti) e filosofi (Deleuze, Sartre, Wittgenstein), al fine di mostrare la valenza semantica e pragmatica del concetto di scivolare e di gioco. Scivolare non è soltanto scivolare in sé (cioè un concetto isolato da una rete d’altri concetti, svuotato d’un principio di teoria) ma, in qualche modo, sempre in relazione ad altri concetti teoricamente rilevanti e differenziali, simili e dissimili, quali, per esempio, l’‘attrito’ o l’‘impigliarsi’ di cui parla Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche. Per Wittgenstein fare presa sul terreno scabro significa, metaforicamente, avere l’attrito necessario a prendere le distanze da quelle condizioni ideali che non consentono più di camminare, in altri termini non consentono di occuparsi del linguaggio quotidiano in sé, lontano dalle sofisticherie logiche e dalla trascendenza di alcuni rigidi metalinguaggi: “Siamo finiti su una lastra di ghiaccio dove manca l’attrito e perciò le condizioni sono in certo senso ideali, ma appunto per questo non possiamo muoverci”. Vale questa ipotesi per tutti i contesti d’uso? Come ho teso a dimostrare, i contesti d’uso tendono a riconfigurare il senso generale di un concetto (ivi compreso quello di attrito o di scivolare); al contempo, un’analisi per contesti d’uso di tipo pragmatico può ben associarsi a una più generale organizzazione semantica tendente alla sistematizzazione. Un’esplorazione del concetto di scivolare può, in definitiva, essere un utile ponte verso altri concetti d’uso comune e teorico in antropologia e altrove (semiotica, filosofia, letteratura): camminare (Geertz), essere scagliati (Jackson), scrivere (Taussig), decentrarsi (Strathern), incarnarsi (Sartre), pianificare (Greimas), divenire (Deleuze). Scivolare fa dunque parte, oltre che della vita quotidiana, anche della teoria e delle pratiche di analisi – incluso la comunione del desiderio e l’incarnazione dell’altro – di alcuni teorici e può essere un atto indicativo dei modi in cui, letteralmente e metaforicamente, ci proiettiamo nel mondo o ne prendiamo teoricamente le distanze considerando qualcosa un semplice caso irrilevante o, al contrario, un elemento di pertinenza metodologica.