In sordina a Auschwitz. Tra sensibilità e razionalità , ordinario e straordinario
- Authors: Montes, S.
- Publication year: 2015
- Type: Articolo in rivista (Articolo in rivista)
- OA Link: http://hdl.handle.net/10447/237872
Abstract
Sono tornato da Auschwitz e una strana sensazione mi è rimasta incollata addosso, sulla coscienza e sulla pelle, sui panni puliti e sul respiro pesante che riverso sul mondo indaffarato nel solito trantran di sempre. Routine? Ordinario e straordinario si richiamano e s’intrecciano: da qualche giorno, Auschwitz non è però più per me una parola, per quanto terribile, ma un riferimento concreto, materiale, ancorato a un mio pezzo di vissuto di ‘pellegrino’ attento a ciò che succede intorno al suo presente. Sono a casa mia e ripenso alle baracche dei sopravvissuti nei campi di concentramento: vivo una realtà ordinaria e ripenso a una straordinaria, quasi inconcepibile e inimmaginabile. Rifletto e narro, vivo nel mio quotidiano e sono consapevole di fatti straordinari e tragici, vissuti da altri nel passato e nel presente. Rifletto e resisto a un’idea monolitica di razionalità , comparo a questo fine luoghi e atmosfere dell’ordinario e dello straordinario. Il genocidio ha una qualche base su forme congiunte di razionalità ? Per quanto strano possa sembrare, la razionalità può essere irragionevole e diventare comunque sistema complesso e interrelato al cui interno ciò che pare di primo acchito irragionevole trova il suo posto nella società , aggirando le resistenze di molti, traducendosi troppo spesso in senso comune accettato. Da antropologo del linguaggio, rifletto dunque sui concetti di razionalità e sensibilità mettendoli in relazione con altri concetti quali insensibilità e irrazionalità , male e violenza. Non soltanto risultato di moti irrazionali, esplosioni folli di atti assurdi collettivamente ripudiati, il male e la violenza sono più spesso irreggimentazioni di logiche d’insieme finalizzate a scopi precisi, sono ‘elementi’ in gioco resi coerenti all’interno di complessi di ragioni le cui connessioni mirano, come nel caso dei campi di concentramento, a particolari fini tecnici e persino tecnocratici. Il male e la violenza si costituiscono in quanto forme congiunte, confuse e sovrapposte di razionalità e irrazionalità , sovente subdolamente dissimulate, in termini segnici, da connotazioni ideologiche prodotte ad uopo per sventare resistenze e modellare persuasivamente la ricezione altrui. Il passo importante è sventarne la costruzione materiale e simbolica, rifiutarne la costituzione ideologica d’insieme nel suo stesso processo in divenire interno ed esterno alla cultura, nella sua adesione quotidiana manifestata spesso da impliciti automatismi e inconsapevoli sostegni frutto di operazioni mediatiche. Il male fa sistema? La violenza ha una sua razionalità ? L’ipotesi sul continuum della violenza (Scheper Hughes) andrebbe allora vista di pari passo con quella di Goffman secondo cui le istituzioni totali, quale che esse siano, tendono a produrre meccanismi di esclusione e di violenza simbolica e materiale. In altri termini, sfumare la distinzione tra violenza ordinaria e straordinaria dovrebbe procedere di pari passo con l’indagine sulle varie istituzioni che generano internamento, persino le più innocue apparentemente, quali potrebbero essere un normale ospedale o un comune pronto soccorso. Si dovrebbe mettere pure l’accento, sempre più, sulle storie di vita individuali, di persone ordinarie, sottoposte a eventi straordinari: alle diaspore, migrazioni e internamenti in campi per profughi.