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SEBASTIANO MANNIA

Il cibo dei morti. Questue e figure dell’alterità in Sardegna

Abstract

Le questue infantili, pressoché scomparse in tutte le regioni euromediterranee, sono ancora diffuse in numerosi centri della Sardegna. L’1 e il 2 novembre, il 31 dicembre e il 16 gennaio è possibile osservare gruppi di bambini che, in orari definiti e con formule consuetudinarie, questuano nelle case alla ricerca di doni, e segnatamente denaro e beni alimentari. Il cibo, tra gli altri simboli rituali, è il tratto costante che meglio connota tali questue, a prescindere dai cambiamenti occorsi negli ultimi decenni che hanno introdotto, di fianco all’offerta di pani, dolci, frutta e frutta secca, la dazione di soldi, giocattoli, materiale scolastico, caramelle. Se si considera, come è noto, che i bambini costituiscono simbolicamente i vicari dei defunti – in Sardegna, peraltro, questa concezione è ancora vitale –, nonché la collocazione temporale delle questue infantili, s’intuisce l’importanza e la dimensione sacralizzante del cibo nella mediazione tra offerenti e riceventi. La sacralità degli alimenti emerge ancor più chiaramente in una tipologia di questua invalsa l’1 novembre in alcune comunità della Sardegna centrale, in cui a questuare sono i chierichetti. Il cibo rientra in una complessa fenomenologia di dono e controdono, in cui a fruire delle offerte non sono esclusivamente i bambini questuanti – come accade nella maggior parte delle altre questue documentate – ma l’intera collettività.