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GLORIA LISI

Abusivo

Abstract

La vegetazione selvatica sta occupando, nonostante gli sforzi donchisciotteschi della pianificazione, molte aree urbane e spazi al di fuori delle città. L’occupazione da parte del selvatico avviene laddove la presenza dell’essere umano si ritira o si arresta, generando situazioni di abbandono di un territorio precedentemente mantenuto e vissuto. In questo senso, questi territori (spesso individuati come vuoti urbani o spazi improduttivi) sono stati inclusi all’interno di discorsi riguardanti la riqualificazione e la trasformazione. Così è possibile leggere questi unintentional lanscapes come un’occupazione vegetale non autorizzata e illecita – non essendo una forma di verde prevista dal piano o dal progetto – divenendo così un’azione di tipo abusivo di un soggetto non-umano. Per questo motivo, la riflessione avviene sul termine “abusivo”. L’approfondimento del lemma ha due origini: da un lato, la comparazione con un fenomeno già ampiamente studiato, quale l’abusivismo edilizio; dall’altro, una riflessione etimologica del termine capace di indurre atteggiamenti molto contrastanti e conflittuali. In primo luogo, associare la questione alle dinamiche già ampiamente studiate sull’abusivismo edilizio porta ad inquadrare le possibili derive: l’abusivismo cosiddetto “di necessità” può diventare “di convenienza”, sino ad essere “speculativo”. In secondo luogo, la possibilità di scavare dentro l’etimologia di un termine genera strade per una possibile risignificazione non tanto volta alla cancellazione dei significati correnti, quanto più a definirne nuove possibilità. Ricordando la profonda indagine filologica su cui si basa il testo Das Unheimliche (Il perturbante) di Sigmund Freud del 1919, si osserva come un termine possa includere una cosa e il suo contrario. In quest’ottica si guarda alla parola “abuso”. Si potrebbe dire che il termine abbia un’origine nel significato “lontano dall’uso”. In questo senso, in un volteggio che non intende privare il termine del suo significato di “uso eccessivo”, si osserva come la questione dell’abbandono possa essere legata in certi termini alle dinamiche di abusivismo. Il contributo considera il termine “abuso" utile per una riflessione su concezioni alternative di legittimità e quindi autenticità del paesaggio. Si suggerisce una forzatura nella lettura del termine che accoglie la vegetazione selvatica come soggetto capace di avere un ruolo nelle dinamiche socio-ecologiche urbane e territoriali, fornendo un utile contrappunto alla visione inquisitoria con cui ci si riferisce ai luoghi inselvatichiti.