L'aggiudicazione nel sistema delle vendite forzate
- Autori: FARINA, PASQUALINA
- Anno di pubblicazione: 2012
- Tipologia: Monografia
- OA Link: http://hdl.handle.net/10447/664449
Abstract
L’applicazione distorta, spesso avallata dalla giurisprudenza di legittimità , dell’art. 615 c.p.c., affinché potessero essere ancora utilmente dedotti tutti quei vizi formali che invece erano già stati sanati dal decorso del termine di decadenza stabilito dagli artt. 530, 569 e 617 c.p.c., ha eluso la portata precettiva di tali disposizioni e la loro funzione di «sbarramento» delle nullità esecutive, a discapito della stabilità dell’atto traslativo e della successiva distribuzione. Analogamente la restrittiva interpretazione giurisprudenziale dell’art. 2929 c.c. ha consentito alle nullità sostanziali di mettere in discussione all’infinito la certezza dei risultati dell’esecuzione, nonostante ciò conducesse ad un processo espropriativo assai diverso da quello immaginato e voluto dal legislatore del 1940. L’incauto cittadino che, confidando nel provvedimento di cui all’art. 569 c.p.c. si era rivolto al tribunale per acquistare un immobile attraverso il meccanismo della vendita forzata, correva il rischio non solo di essere il destinatario di richieste estorsive da parte di speculatori professionisti ma anche e soprattutto quello di dover restituire al debitore il bene legittimamente acquistato. Con l’ulteriore beffa che fino alla decisione delle opposizioni e dei reclami proposti, l’ufficio esecutivo tratteneva tutte le somme versate dall’aggiudicatario alla procedura per l’acquisto del bene. E spesso non si trattava di un periodo di tempo contenuto. Il merito di aver compreso la necessità di isolare l’acquisto del terzo non solo da eventuali nullità sostanziali e processuali, fornendogli una tutela assoluta e non più condizionata alla sussistenza delle ragioni dei creditori, va ascritto alle best practices adottate da quelle corti di merito che paradossalmente sono riuscite ad innovare il sistema nella maniera più elementare ma non per questo meno audace: applicando le norme volute dal legislatore del 1940, nel rispetto della formulazione letterale e dello spirito della legge, che invece la giurisprudenza della Suprema Corte aveva disatteso sin dall’inizio degli anni ‘80. Non sembra dunque del tutto infondato il riconoscimento, da parte del legislatore della competitività , alla vendita forzata di un ruolo centrale nella procedura esecutiva per garantire la migliore soddisfazione dei creditori ed il minor sacrificio delle ragioni del debitore, è stata dunque una scelta obbligata, che è confluita nell’art. 187 bis disp. att. Indubbiamente come si è gia visto, si tratta di una norma dalla formulazione scarna e dalla anomala positura. Al riguardo occorre tuttavia considerare che una diversa collocaizione nell’ambito del codice di rito piuttosto che nel codice civile avrebbe forse di nuovo sollevato dubbi sull’ambito di applicazione della suddetta regola. In altri termini si sarebbe ancora posto il problema se l’aggiudicatario dovesse essere tutelato solo in caso di nullità formali ovvero se, al contrario, l’acquisto rimanesse stabile anche in caso di vendita ingiusta da un punto di vista sostanziale. E, per altro verso, va precisato che per la prima volta è stata introdotta una disposizione che ha ad oggetto la stabilità della vendita in quanto tale, senza necessità di alcun collegamento, diretto o indiretto alla stabilità della distribuzione del ricavato. Difatti se è vero che per il legislatore del 1940 lo scopo della vendita forzata, analogamente a quello della compravendita, era costituito dallo scambio del bene con il prezzo e che non si poteva comunque prescindere dalla circostanza che le somme così realizzate erano destinate a soddisfare i creditori, è incontestabile che per il legislatore della competitività i termini della questione sono stati invertiti. In altre parole la posizione dell’aggiudicatario non può essere più definita ancillare rispetto alle ragioni dei creditori; ciò in quanto sono queste ultime che possono trov