Tra giustizia, diritto, democrazia
- Autori: Dino, A
- Anno di pubblicazione: 2014
- Tipologia: Capitolo o Saggio (Capitolo o saggio)
- OA Link: http://hdl.handle.net/10447/122018
Abstract
«… ciò che è giusto e ciò che è equo sono la stessa cosa e, pur essendo entrambi eccellenti, l’equo è migliore. […] l’equo è giusto, ma non lo è secondo la legge, al contrario è una correzione del giusto legale. […] E questa è la natura dell’equo, di essere correzione della legge, nella misura in cui essa viene meno a causa della sua formulazione universale». Le parole di Aristotele conducono nel vivo della nostra riflessione, ponendoci criticamente di fronte all’analisi del rapporto tra giustizia e legalità in una società pluralistica. Con occhio attento al rapporto tra particolare ed universale; tra principi assoluti e finitezza umana. La giustizia “astratta” e universalistica, proprio perché tale è priva di contenuto. In quanto assoluta è vuota. Ma appena la si sostanzia, la si riempie di contenuto, diventa relativa e si espone all’errore e alla necessità di continue revisioni. Così Aristotele, attento al governo della πόλις, consapevole del fatto che la causa dell’errore risiede nella “formulazione assoluta” di un principio che ha valore regolativo nella prassi, suggerisce di temperare la giustizia attraverso il ricorso all’equità. L’aporia è solo apparente. Giusto ed equo pur essendo identici rispetto al genere, possono divergere nella loro applicazione, laddove l’equo ha il compito di agire come concetto limite, strumento indispensabile alla democrazia, limitando i rischi di assolutizzazione di una giustizia formale lontana dalla concretezza e dalla determinatezza del vivere quotidiano.