Relazione tra autofagia e apoptosi in embrioni di riccio di mare esposti a stress
- Authors: Chiarelli, R; Agnello, M; Bosco, L; Roccheri, MC
- Publication year: 2012
- Type: Proceedings
- Key words: Sea Urchin, Cadmium, Autophagy, Apoptosis, Stress
- OA Link: http://hdl.handle.net/10447/63390
Abstract
L’embrione di riccio di mare Paracentrotus lividus è stato utilizzato come organismo modello della biologia dello sviluppo per molti anni ed è considerato il deuterostoma più primitivo, con scheletro calcificato, correlato a protocordati e vertebrati. Tale sistema offre un'eccellente opportunità per studiare le numerose strategie di difesa che gli embrioni mettono in atto contro diverse condizioni di stress. In precedenza, abbiamo riportato che l’esposizione di embrioni a dosi citotossiche di cadmio, provoca l'accumulo intracellulare del metallo e l'attivazione del sistema difensivo, in modo dose-tempo dipendente, attraverso la sintesi di specifiche HSPs e/o l’innesco di apoptosi. Mediante marcature vitali acidotropiche e analizzando la proteina LC3-II (un marker degli autofagosomi), abbiamo dimostrato che gli embrioni Cd-esposti adottano l’autofagia come un aggiuntivo stratagemma per salvaguardare il programma di sviluppo. Inoltre, gli embrioni attivano una risposta autofagica massiva dopo 18 ore, che diminuisce tra 21 e 24 ore, all’opposto di quanto osservato per l’evento apoptotico, che raggiunge il massimo dopo 24 ore, come dimostrato da saggi TUNEL e immunofluorescenza in situ della proteina cleaved-caspasi-3. Questi dati suggeriscono che gli embrioni, prima di attivare definitivamente l’apoptosi, tentano di sopravvivere, eliminando componenti cellulari danneggiate, aumentando il numero degli autofagolisosomi, in proporzione all’insulto subìto. Tuttavia, se il danno cellulare è troppo esteso, l’apoptosi diventa ineluttabile. Pertanto abbiamo valutato l’eventuale esistenza di una relazione funzionale tra autofagia e apoptosi, analizzando l’apoptosi in embrioni esposti a stress da Cd in una condizione di autofagia inibita, mediante trattamento con l'inibitore autofagico 3-metiladenina. I risultati hanno evidenziato che l'inibizione dell’autofagia provoca una riduzione dei segnali apoptotici. Considerando il ruolo catabolico del processo autofagico, abbiamo formulato un'ipotesi energetica secondo la quale l’autofagia potrebbe contribuire all’esecuzione dell’apoptosi attraverso il rifornimento di ATP, necessario all'esecuzione dell’apoptosi. In effetti, somministrando metilpiruvato (substrato per la produzione di ATP), l'apoptosi era sostanzialmente ripristinata. In questo sistema modello, l’autofagia potrebbe inserirsi come un meccanismo cruciale nel contrastare lo stress, contribuendo alla salvaguardia dello sviluppo embrionale.