Ippolito figlio degenere (Sen. Phaedr. 907-908)
- Autori: CASAMENTO A
- Anno di pubblicazione: 2007
- Tipologia: Articolo in rivista
- Parole Chiave: tragedia senecana - retorica - dinamiche relazionali
- OA Link: http://hdl.handle.net/10447/24079
Abstract
Le tragedie di Seneca costituiscono un compiuto laboratorio in cui la grande lezione del teatro antico si apre a nuove realtà di pensiero anche grazie al proficuo contatto con l’esperienza delle scuole di declamazione. Così si dimostra in materia di abdicatio, tema fondante dell’universo declamatorio ma anche spia evidente di ricorrenti crisi tra generazioni. L’analisi dei vv. 907-908 della Phaedra di Seneca , nel contesto in cui Teseo maledirà il figlio credendo al complotto di Fedra e della nutrice circa la violenza perpetrata da Ippolito ai danni della matrigna, offre un saggio del contatto con la retorica praticata dalle scuole. Ed infatti nel comportamento scellerato del figlio Teseo conferma i segni di una colpevolezza latente nell’animo del ragazzo, nella sua eccessiva vicinanza ad universo femminile barbaro e selvaggio. Se ciò avviene in deroga ad ogni principio della biologia antica, dove è preminente sempre e comunque la presenza del padre, questa sarà dunque una validissima ragione che spingerà Teseo ad ‘abdicare’ Ippolito secondo l’assunto, che il lavoro dimostra ben noto ai declamatori, che ogni azione di un giovane può esser letta come una prova di conferma o disconferma della propria identità di figlio. Solo dopo la scoperta di avere comminato una immeritata sanzione, Teseo non potrà che riacquisire quel che resta di Ippolito all’interno del proprio genus, in quella che appare una velleitaria e frustrante agnitio post mortem.