Tradizioni musicali per l’Immacolata in Sicilia
- Autori: BONANZINGA S
- Anno di pubblicazione: 2006
- Tipologia: Capitolo o Saggio
- OA Link: http://hdl.handle.net/10447/16457
Abstract
La festa della Madonna Immacolata apre tradizionalmente in Sicilia il ciclo celebrativo del Natale. L’unitarietà simbolica con cui è percepito il tempo che va dall’Immacolata all’Epifania si riflette tanto nelle consuetudini cerimoniali (cibi, addobbi, giochi, allestimento di falò, azioni drammatiche, ecc.) quanto nei generi poetico-musicali e strumentali che vi trovano impiego, in prevalenza riconducibili a testi letterari di provenienza chiesastica e a moduli melodici di stilizzazione semiculta. Le celebrazioni iniziano il 29 novembre con la novena. Parallelamente alle novene di ordine paraliturgico che si svolgono nelle chiese, i fedeli gestiscono per consuetudine in modo autonomo queste pratiche devozionali, assumendo le proprie abitazioni, o le edicole votive prossime alle porte di casa, come spazi rituali privilegiati. L’esecuzione delle novene domiciliari era specialmente affidata a una particolare categoria di cantastorie: gli “orbi” (obbi, uoibbi, orvi, ovvi, uorvi, uòrivi), così denominati poiché erano in prevalenza ciechi quanti intraprendevano questa singolare professione. Nella Palermo del Seicento la vicenda dei cantastorie “ciechi” si è legata all’istituzione di una confraternita intitolata proprio all’Immacolata Concezione, sotto il patronato dei Gesuiti che ne controllavano l’attività. Nel periodo che va dall’Immacolata all’Epifania anche i suonatori di zampogna (ciaramiddara) erano – e sono ancora, se pure con intensità assai minore rispetto al passato – impegnati nella celebrazione delle tradizionali novene domiciliari. Le esibizioni degli orbi cantastorie e dei ciaramiddara rinviano a una dimensione professionale del fare musica (con preventiva regolazione del sistema prestazione-offerta), altre pratiche espressive, caratterizzate da un minore grado di competenza esecutiva, venivano e vengono agite direttamente dai devoti (rosari, litanie, orazioni e canzonette di argomento religioso), sia nei contesti domestici (ancora oggi gruppi di donne si riuniscono all’interno o all’esterno delle proprie abitazioni per ripetere i tradizionali rosari) sia nelle paraliturgie che si svolgono nelle chiese. Non di rado questi prodotti poetico-musicali, derivati da testi scritti e perlopiù eseguiti secondo melodie di influenza chiesastica, si legano a specifiche tematiche locali: dalle leggende di fondazione dei culti (prodigiosi ritrovamenti di quadri, statue o reliquie) a miracoli che potevano riguardare singoli individui (a esempio guarigioni) o intere collettività (liberazione da carestie, pestilenze, guerre, predazioni o calamità naturali). Se nei contesti domestici gli orbi si potevano ritenere gli officianti di una liturgia parallela a quella ufficiale e sostanzialmente improntata al medesimo “decoro” (anche perché più direttamente controllata dalla Chiesa), in questi rituali pubblici, magari agiti in tempi “liminari” di norma dedicati al riposo, le comunità continuano a testimoniare una concezione arcaica del sacro. Gli elementi che caratterizzano i Pidduzzi di Bisacquino (dove gruppi di bambini percorrono le vie del paese trascinando fantocci che verranno infine dati al rogo, provocando gran schiamazzo con grida e campanacci), e in misura minore quelli riscontrati nelle processioni del Triunfu a Ciminna e della Mmaculatedda ad Altofonte, ripropongono difatti l’arcaico codice dell’orgia festiva (alimentare, sonora, gestuale), simbolicamente riplasmato per adattarsi al culto dell Madonna.