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IGNAZIO BUTTITTA

Il patrimonio à la carte o del “consumo” della cultura

Abstract

Partendo dalla considerazione che il nucleo costituente dei beni comuni va individuato nell’inscindibile legame con l’esercizio dei diritti fondamentali ed il libero sviluppo della persona e adottando quindi un concetto estensivo di beni comuni che superi l’accezione di beni diretti alla soddisfazione di interessi quali l’erogazione dell’acqua, il sistema dei trasporti, la sanità, la sicurezza alimentare e sociale, l’amministrazione della giustizia, ecc., vanno certamente inclusi fra questi i beni essenziali allo sviluppo spirituale degli individui e delle comunità; beni fondanti il senso stesso dell’esserci nel mondo di una comunità e dunque irrinunziabili da un lato alla definizione di una appartenenza collettiva e, dall’altro, al costante miglioramento e alla tenuta nel tempo di una soddisfacente qualità della vita. Tuttavia la fruizione della più larga parte dei Musei regionali e dei Parchi archeologici è gestita da enti affidatari di diritto privato (il cui obiettivo primario è il profitto) e non direttamente dall’Ente pubblico; i costi di ingresso, congiunti a quelli dei servizi interni, sono insostenibili dalle famiglie dal reddito medio-basso; i professionisti della cultura (archeologi, etno-antropologi, storici dell’arte, ecc.), formati nelle nostre università (la cui offerta formativa, va detto, resta largamente inadeguata), non trovano il giusto spazio nell’amministrazione regionale (totalmente allo sbando anche per via del mancato ricambio generazionale) e sono accuratamente tenuti fuori dai percorsi gestionali e dai processi decisionali.