Mascheramenti festivi in Sicilia
- Authors: Buttitta, Ignazio
- Publication year: 2022
- Type: Capitolo o Saggio
- OA Link: http://hdl.handle.net/10447/576129
Abstract
I mascheramenti cerimoniali, che vanno dal semplice occultamento del viso al rivestimento del corpo con specifici indumenti e attributi, ricorrono più diffusamente, in Sicilia come altrove, nel periodo carnevalesco. A cortei e performances di mascherati si accompagnano comportamenti tesi a segnalare la temporanea sospensione o il rivolgimento delle norme sociali e culturali: i giuochi licenziosi, le danze pubbliche e i balli domestici, le questue e lo smodato consumo di peculiari cibi e di bevande, la produzione di rumori e di schiamazzi, le tenzoni, il dileggio delle autorità, i motteggi e gli scherzi d’ogni sorta. Tra le performances carnascialesche che meritano di essere ricordate: la pantomima del Mastro di Campo di Mezzojuso, vera e propria rappresentazione di morte e rinascita dell’eroe cosmogonico; l’Ursu di Saponara, maschera teriomorfa, un tempo presente in altri centri della Sicilia, che al suono di strumenti tradizionali e seguita da varie altre maschere (il Principe, la Principessa, i Guardiani, i Cacciatori, ecc.) viene condotta al laccio a questuare di casa in casa; la tenzone dei Misi i l’annu, rappresentazione un tempo anch’essa assai diffusa e ancora osservabile a Rodì Milici e Barrafranca, che vede dodici uomini mascherati e armati, i “mesi” appunto, percorrere a cavallo il paese declamando ciascuno il proprio apporto alla fecondità della natura con l’intenzione di spodestare il Re loro padre e ancora il corteo dei Picurara di Antillo, epifanie teriomorfe di un indistinto altrove donde provengono le energie necessarie all’annuale rifondazione del tempo e della società. I mascheramenti, al pari degli altri simboli rituali caratterizzanti le celebrazioni carnascialesche siciliane, paiono tutti riconducibili alla sintassi propria delle feste di chiusura e apertura di un ciclo ossia di rifondazione ciclica del tempo, e finiscono con il proporre l’istituto carnevalesco, nel suo complesso, come “modello esemplare” delle cerimonie di Capodanno.