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EMANUELE ANGELICO

desideratArchitettura

Abstract

Il 15 marzo del 2020 è scomparso uno dei protagonisti dell’architettura, Vittorio Gregotti. È stato vinto dal Covid-19 e con i suoi 1.600 progetti ha incarnato la figura del progettista, del teorico e del lucido critico; ma anche saggista, critico, docente, editorialista, polemista. Da poco tempo, aveva chiuso il proprio studio affermando amareggiato: «l’architettura non mi interessa più» - e non certo per l’età avanzata, quanto per il rifiuto di allinearsi ad una società in cui si riconoscono ovunque prodotti uguali, in cui sembra prevalere la moda verso il contesto globale; diceva delle recenti realizzazioni che fossero di spettacolo, di esibizione, di ossessione per la comunicazione, lavori da palcoscenico che non hanno più rispetto del luogo, «dei sogni e dei desideri dell’uomo». In un’epoca caratterizzata da oramai un «pensiero debole»2, in cui tutto è frammentato, Gregotti è stato un architetto dal «pensiero forte», dai grandi sogni e dalle potenti utopie cercando con rigore metodologico una coerenza con il contesto ambientale, con la cultura del luogo, a partire da una dialettica che coinvolgesse il mondo politico e sociale dando un significato a un ambiente fisico senza mai ignorare ciò che preesiste. In tal senso, ci piace pensare di poter riprendere il “sogno” di Gregotti laddove lui lo avesse interrotto (Gregotti, 2019). Questo contributo intende stimolare spingere verso una ricerca condotta sulla tecnologia come scienza applicata per buone architetture che usino sostenibili sistemi costruttivi che, oltre le good practices, rafforzi il cosiddetto “Total Designer” (Ortega, 2017) che esca all’esterno di quelle nicchie elitarie di produzione edilizia “da palcoscenico” (per dirla con Gregotti).