Seminario: Non c'è più la Sicilia di una volta?
28 Aprile dalle 15:00 alle 18:00 - Collegio San Rocco (DEMS)
Ore 15.00 – Introduzione al libro “Non c’è più la Sicilia di una volta”, Laterza, 2017: Enrico Del Mercato e Marco Romano a colloquio con Gaetano Savatteri
Ore 15.45 –Dibattito sul tema “Era di maggio. Dopo 25 anni dalle stragi.”. Partecipano: Salvatore Ferlita, Giovanni Fiandaca, Salvatore Lupo. Coordina: Felice Cavallaro
13 Maggio - Steri - Sala Magna
Ore 10.00 Saluti: Fabrizio Micari, Leoluca Orlando, Alessandro Bellavista
Ore 10.15 “La Sicilia dei sensi”. Introduce: Alessandro Laterza. Partecipano: Pino Cuttaia, Arianna Occhipinti, Santo Piazzese, Giuseppina Torregrossa. Coordina: Tiziana Martorana
Ore 12:00 Dibattito con gli studenti
Ore 13.30 Arancine d'autore
Ore 15.00 “Il senso della Sicilia”. Introduce: Vincenzo Pirrotta. Partecipano: Giovanna Fiume, Gianfranco Marrone, Florinda Sajeva, Antonio Sellerio. Coordina: Giancarlo Macaluso
17:00 Dibattito con gli studenti
Ore 18.00 – Conclusioni: Salvo Ficarra e Valentino Picone, con Lello Analfino (unplugged)
Il seminario prende spunto dal saggio Non c’è più la Sicilia di una volta, scritto da Gaetano Savatteri e pubblicato dagli Editori Laterza. Un testo che si chiede come mai la Sicilia, sotto vari punti di vista, continua ad essere decrittata e letta – quantomeno nella sua sfera pubblica e immaginaria – con strumenti letterari, artistici e anche storici del recente passato. Cristallizzata dentro un diagramma segnato dai gattopardi, dai quaquaraquà, dalle sedotte e abbandonate e così via. Stretta anche nella dicotomia tra mafia e antimafia. Eppure, a partire dal 1992 (individuando l’anno delle stragi di Palermo come anche l’anno della ribellione e della consapevolezza) Savatteri prova a elencare attraverso quali momenti si stia costruendo, faticosamente, una nuova immagine dell’isola.
“In questo suo pungente Non c’è più la Sicilia di una volta, pubblicato da Laterza – ha scritto Pierluigi Battista sul Corriere della Sera, recensendo il libro - Savatteri srotola un elenco sterminato di immagini e di luoghi comuni che dalla letteratura al cinema al giornalismo seppelliscono la Sicilia reale sotto quella del brand, del marchio, dell’ovvio: la Sicilia dei gattopardi, degli ominicchi e dei quaquaraquà, dei «marescialli sudati e dei baroni in lino bianco», di Sedotta e abbandonata e di Divorzio all’italiana e del Padrino con la scena finale al Teatro Massimo di Palermo, tra le note della Cavalleria rusticana, dei fichidindia e dei «quarti di manzo appesi alla Vucciria», di Ferribotte («Carmelina, ricomponiti!») e «delle lupe verghiane», dei paesi assolati a mezzogiorno, la piazza con il bar e il barbiere, le donne in nero, le persiane socchiuse, della lupara e della coppola, dei cannoli e dei caffè al veleno”.
“Ma – annota Battista - si sente anche il bisogno, scrive Savatteri 25 anni dopo la stragi di Capaci e di via d’Amelio dove sono stati trucidati con le loro scorte Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, di stabilire una distanza emotiva da un immaginario in cui sembra impossibile espungere il «piombo dei killer mafiosi», i morti ammazzati, le infiltrazioni della mafia, le mattanze criminali, la capitale di Cosa nostra. Non per dimenticare quella Sicilia, o per minimizzarla. Ma perché dentro quella coazione a ripetere si finisce con il non vedere più la Sicilia che si affranca dal suo stereotipo. Una Sicilia nuova, agganciata alle grandi tendenze della civiltà moderna e metropolitana. Savatteri la chiama addirittura «Trinacria glam». Ovviamente un’immagine impregnata di ironia e di autoironia ma che pure affiora nei film, nella moda, nei modi di mangiare, nella letteratura, nel sentimento pubblico. E che gli stessi siciliani, spesso prigionieri dello stereotipo oppure alfieri di un antisicilianismo di maniera, dove il pessimismo antropologico stinge nella posa, non riescono più a decifrare”.