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Pubblicare in Open Access

6-ott-2017

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Pubblicare in Open Access consente di rendere disponibile un contributo scientifico (articolo, monografia…) in digitale in modo che il lettore finale possa accedervi liberamente e gratuitamente.

Questo comporta una più ampia visibilità e una più efficace disseminazione dei lavori di ricerca, la crescita di impatto, una maggior riconoscibilità e reputazione del ricercatore anche al di là della propria comunità scientifica di riferimento.

Per le università e i centri di ricerca l’accesso aperto alle pubblicazioni amplia la visibilità della ricerca scientifica prodotta al proprio interno, con conseguente crescita di conoscibilità e prestigio.

Sempre più editori scientifici internazionali pubblicano contenuti ad accesso aperto, a conferma di come l’Open Access non voglia distruggere l’editoria tradizionale ma al contrario si vada verso un modello editoriale ibrido, più libero.

Le pubblicazioni Open Access sono prodotti scientifici di qualità, in quanto validate dopo un’attenta peer-review. Nel caso di pre-print non ancora validati sarà cura dei ricercatori e delle istituzioni dare notizia della non avvenuta certificazione di qualità, potendosi allo stesso tempo garantire l’ampia disseminazione dell’informazione e della conoscenza.

Pubblicando in Open Access, contrariamente a quanto si crede, ci si può difendere più facilmente dal plagio: se il web semplifica l’accesso ai contenuti, allo stesso tempo consente di individuare più facilmente eventuali utilizzi non leciti delle proprie pubblicazioni. L’autore deve concordare, con gli appositi strumenti, un apposito contratto editoriale che lo tuteli e gli garantisca il mantenimento dei propri diritti.

I costi dell’editoria Open Access sono bassi e ricadono su chi produce la ricerca invece che sui lettori: sempre più università e singoli ricercatori dedicano una parte dei propri budget all’incremento delle pubblicazioni su riviste ad accesso aperto.

I contenitori delle pubblicazioni Open Access sono le riviste peer-reviewed ad accesso aperto (gold road), che contengono articoli validati (post-print), e gli archivi aperti (green road), nei quali è possibile autoarchiviare non solo i post-print ma anche i pre-print.

Le riviste Open Access sono indicizzate nelle principali banche dati citazionali e hanno spesso alti indici di impact factor.

Alcuni editori prevedono un periodo di embargo: l’articolo può cioè essere liberamente accessibile dopo un certo periodo dalla sua pubblicazione (in genere sei o dodici mesi): è sempre bene informarsi previamente con l’editore sulle politiche adottate in merito.

Per sostenere i costi la maggior parte degli editori richiede un contributo all’autore, che così finanzia con i propri fondi la pubblicazione della propria ricerca, garantendone la diffusione libera e restando egli stesso titolare dei diritti spettanti.

Gli archivi aperti possono essere:

  •  istituzionali: se raccolgono la produzione intellettuale in formato digitale di un’università o ente di ricerca o di un insieme di istituzioni scientifiche;
  •  disciplinari: se sono dedicati ad una disciplina specifica in particolare.

L’autore deposita (“autoarchivia”), nel rispetto delle norme sul copyright, il pre-print o il post-print dei propri articoli. L’autoarchiviazione non esclude quindi la pubblicazione su riviste prestigiose e ad alto impatto, ma consente semplicemente di ampliare le strade di accesso al testo. I contenuti degli articoli sono interrogabili, grazie ai metadati associati, e liberamente consultabili in rete attraverso i principali motori di ricerca.

Gli archivi aperti (repository) garantiscono la conservazione a lungo termine e contengono materiale che non violi i contratti firmati con gli editori. Per conoscere le politiche degli editori nei confronti dell’autoarchiviazione e le condizioni in cui essa è possibile (versione da archiviare, tempistica del deposito, restrizioni particolari) si può consultare il database Sherpa Romeo; per gli editori non censiti in questo database è possibile consultare il censimento curato dall’Università di Torino