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Per chi sa già cos’è l’open access ma è pieno di dubbi e domande

26-giu-2014

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Se pubblico ad accesso aperto tutti potranno copiare e plagiare le mie idee?


Ma perché dovrei depositare i miei lavori  in un archivio aperto? Cosa ci guadagno?


Ho sempre pubblicato su riviste con alto impact factor; pubblicare in open access non significherà rinunciare alla qualità e quindi alla carriera?


Ma le riviste open access ce l’hanno l’impact factor?


Ho sentito dire che ci sono riviste OA che non godono di buona reputazione. E’ vero?


Se il mio Ateneo dovesse varare una policy sull’open access e obbligarmi a depositare il mio articolo nell’archivio istituzionale, sarò costretto a rinunciare a pubblicare nei canali tradizionali?


L’open access è compatibile con il diritto d’autore?


L'Open Access vuole distruggere l'editoria tradizionale e le società accademiche?


Molti ricercatori hanno paura dell’accesso aperto. Hanno torto o ragione?




Se pubblico ad accesso aperto tutti potranno copiare e plagiare le mie idee? 

 

Quello del plagio è solo un luogo comune ed anzi è vero il contrario perché, se qualcuno plagia un articolo liberamente circolante sul web, basterà un motore di ricerca per scoprirlo, mentre se qualcuno copia un articolo circolante su una rivista a pagamento, sarà ben difficile accorgersene se non si è abbonati! La presenza in internet di un lavoro di ricerca rende più facile il riconoscimento del plagio, piuttosto che favorirlo. Inoltre il deposito in un archivio aperto conferisce la certificazione della paternità intellettuale con una data certa.



Ma perché dovrei depositare i miei lavori  in un archivio aperto? Cosa ci guadagno?

 

Nulla, se non ti interessa essere letto e citato. Ma dal momento che un articolo liberamente scaricabile circola più facilmente, viene letto di più e citato maggiormente, è sicuramente vero che se c’è maggiore accesso aumenteranno la visibilità e la disseminazione e si incrementeranno impatto e citazioni, con evidente vantaggio per la carriera.

 

Ho sempre pubblicato su riviste con alto impact factor; pubblicare in open access non significherà rinunciare alla qualità e quindi alla carriera?

 

Pubblicare ad accesso aperto non significa mettere tutto online senza passare attraverso il filtro della revisione dei pari (peer-review). Open access non significa rinunciare alla qualità, al contrario, le riviste OA garantiscono una peer-review di qualità. Spesso, infatti, la revisione dei pari è pubblica e più trasparente (pre-publication history), come nel caso di PLoS ONE, che adotta gli strumenti del Web 2.0 (possibilità di inserire commenti e di intervenire nel testo stesso dell'articolo) per giungere a una discussione aperta sui temi dell'articolo, in uno spirito di condivisione che è quello tipico delle accademie scientifiche.
Diverso è il discorso per gli archivi aperti che non hanno come scopo la peer-review ma la più ampia disseminazione dell'informazione. E comunque, nel caso di archiviazione di postprint (l'articolo corretto dai revisori), il materiale risulta ugualmente sottoposto al vaglio dei pari.



Ma le riviste open access ce l’hanno l’impact factor?

 

Molte riviste open access sono troppo giovani per avere una reputazione e quindi l’impact factor, tuttavia ci sono esempi che dimostrano che la scelta dell’accesso libero premia: la rivista Annals of Geophysics, pubblicata dal 2010 dall'INGV online e ad accesso aperto, ha visto raddoppiare in due anni l'indice di Impact Factor arrivando al 1.138 del 2012! E’ disponibile una lista di  Riviste OA con impact factor


Ho sentito dire che ci sono riviste OA che non godono di buona reputazione. E’ vero?

 

Questa affermazione deriva dal fenomeno dell’ “accesso aperto predatorio”. Esiste in rete un gruppo di editori di scarsa serietà che operano solo ai fini di lucro chiedendo denaro agli autori per pubblicare senza un minimo di revisione scientifica. Si tratta di falso open access, editoria a pagamento senza qualità. Fortunatamente, grazie ai suggerimenti che giungono da autori e bibliotecari di tutto il mondo, Jeffrey Beall, dal 2012 professore associato a Denver, e precedentemente bibliotecario accademico per 22 anni, ha creato e mantiene sempre aggiornata una  Lista degli editori predatori (versione 2013) che permette ai ricercatori di sapere con chi hanno a che fare e di evitare spiacevoli inconvenienti.
La lista di Beall è divisa in due parti: la prima elenca gli editori falsi OA, ciascuno con un portfolio che varia da pochi a centinaia di titoli di periodici e/o collane, e la seconda elenca i titoli di periodici indipendenti di dubbia reputazione. Per recuperare, invece, la lista dei “buoni” basta consultare DOAJ – Directory of Open Access Journals.
Per saperne di più sugli editori predatori: Chi sorveglia gli editori predatori / Antonella De Robbio



Se il mio Ateneo dovesse varare una policy sull’open access e obbligarmi a depositare il mio articolo nell’archivio istituzionale, sarò costretto a rinunciare a pubblicare nei canali tradizionali?

 

No, l’autoarchiviazione non varia le abitudini di pubblicazione. Si può continuare a pubblicare sulle riviste di prestigio in cui si è abituati, riservandosi però l’opportunità di autoarchiviare la bozza dell’articolo, che così diventa da subito consultabile per tutti e a costo zero, il tutto sempre nel rispetto delle politiche di copyright degli editori. E’ un po’ come regalare un estratto del proprio articolo alla biblioteca dell’Ateneo.



L’open access è compatibile con il diritto d’autore?

 

Assolutamente sì, anzi ne costituisce una maggiore presa coscienza e in certo modo un rafforzamento perché l’autore mantiene tutti i diritti sulla sua produzione intellettuale. Pubblicare in Open Access garantisce la massima circolazione delle idee, nel rispetto delle norme sul diritto d'autore.



L'Open Access vuole distruggere l'editoria tradizionale e le società accademiche?

 

Il movimento Open Access è costruttivo, non distruttivo. Lo scopo è quello di fornire un canale di pubblicazione dei risultati della ricerca alternativo a quello tradizionale, basato sulla cessione dei diritti da parte dell’autore e sull’accesso a pagamento per i lettori, che ha portato ad un aumento vertiginoso dei prezzi degli abbonamenti con costi ormai non più sostenibili per le biblioteche.
Molti editori tradizionali, tra cui Elsevier e Springer, iniziano ad offrire soluzioni “ibride”,  riviste commerciali (in abbonamento) che offrono agli autori un’opzione open per la pubblicazione ad accesso aperto dei loro articoli. La rivista rimane a pagamento, ma alcuni articoli sono open access (perché ha pagato l’autore). Elenco degli editori con opzione open. L'Open access può convivere con l'editoria tradizionale (come di fatto sta accadendo) ma gli sviluppi futuri dipenderanno dall'incremento delle scelte open di autori e istituzioni.



Molti ricercatori hanno paura dell’accesso aperto. Hanno torto o ragione?

 

Chi teme l’accesso aperto è poco informato o scarsamente lungimirante. L’accesso chiuso reprime la diffusione delle idee e non è adatto ai nuovi paradigmi offerti dalle tecnologie digitali. Il Web è una grande opportunità in termini di innovazione, di diffusione dei saperi e di nascita di nuove idee.
Far uscire il sapere dai silos e dai confini dei campus universitari significa aprirlo a tutti, significa riconoscere alla conoscenza un ruolo propulsore della nostra società, significa aprire prospettive di arricchimento collettivo. Vale per tutte l’esperienza dell’America Latina: a dieci anni dal lancio di piattaforme assai funzionali per riviste ad accesso aperto (Scielo e Redalyc) che ormai ospitano oltre 2.000 riviste, il portale brasiliano Scielo risulta più consultato della piattaforma statunitense Jstor.
Per saperne di più: http://iloveopenaccess.org/argomenti-per-un-accesso-aperto