Cibo senza suolo?
[https://youtu.be/w77zPAtVTuI Bean Time-Lapse - 25 days | Soil cross section]
“Perché preoccuparsi del suolo quando il futuro della produzione alimentare sarà fatto in industrie/fattorie dentro edifici chiusi e ipercontrollati?”. Non è una domanda provocatoria, al contrario testimonia di una realtà che si sta affermando sempre più concretamente. Basti osservare il video su YouTube dove in poco più di tre minuti vengono presentate vere fattorie agricole sviluppatesi in capannoni industriali. Appositamente strutturati, questi siti chiusi ospitano grandi pancali metallici o speciali strutture ove crescono piante senza suolo e con speciali meccanismi che distribuiscono alle radici acqua nebulizzata contente le sostanze necessarie per il loro sviluppo. Vengono recuperati sia i substrati inerti che l’acqua “irrigua”, viene controllata l'”insolazione” con speciali specifiche lampade, non c’è nessun rischio di insetti o malattie. Inoltre si facilita la lavorazione per l’uomo (altezze dei pancali, avanzamento e innalzamento automatici, …) e tutto è controllabile tramite appositi sensori collegati a specifici computer e relativi programmi. Non siamo su Marte, bensì nel cuore di metropoli che possono a loro volta distribuire i loro prodotti quasi a km 0. Per un agricoltore tradizionale potrebbe sembrare un sogno. Per chi si occupa, anzi si preoccupa di suolo è invece sorgente di preoccupazione. Presentare queste fabbriche del cibo come la soluzione alla futura carenza di alimenti è estremamente limitativo. Infatti il suolo non ha come unica funzione quella di produrre cibo. La lista è lunga, ma è bene ricordarne alcune: oltre al cibo il suolo produce legno, ospita inestimabili quantità di fauna e flora vitali per la conservazione della biodiversità, filtra e modera il flusso dell’acqua sia in superficie che in profondità, rimuove elementi inquinanti, regola i rischi di inondazioni e il loro contrario come la siccità, impatta direttamente sul cambiamento climatico e l’accumulo di CO2, crea il paesaggio, … Non entriamo nel merito di chi produce i semi e le piante da mettere a coltivazione nella fabbrica. Né ci preoccupiamo del sapore dei prodotti. Sottolineiamo solo un altro punto di vista: cui prodest? In effetti, solo chi possiede capitali, mezzi e tecnologie può permettersi questo tipo di produzione industriale. A tutt’oggi la maggioranza della popolazione mondiale riceve alimenti prodotti da piccoli o piccolissimi produttori agricoli. Ciò vale tanto per il villaggio del Sahel quanto per il cuore delle nazioni industrialmente avanzate. Quando entriamo in un supermercato, una grandissima parte del cibo che vi si trova, non è prodotta né dal supermercato né dalla marca che lo smercia. Sono gli agricoltori piccoli e medi che lo passano alle catene commerciali che a loro volta lo portano fino al consumatore finale. Si crea così una situazione nella quale chi produce non sempre arriva a coprire i costi di produzione ed è costretto a smettere di coltivare o a sfruttare altra gente (nuova forma di schiavizzazione particolarmente presente nell’attuale agricoltura italiana). Allora, invece di trasformare i campi in capannoni industriali, dovremo pensare a proteggere chi produce cibo e difende il suolo nonostante le condizioni per farlo siano sempre più precarie e contraddittorie. In conclusione, non critichiamo chi sceglie di vivere nel verde di un bosco verticale come nel quartiere di Porta Garibaldi a Milano. Ci preoccupiamo invece di chi intende ridurre il suolo ad un quasi inutile substrato per la produzione di cibo.
https://angelidelsuolo.wordpress.com/2018/06/01/produrre-cibo-senza-suolo/